IN DIFESA DELLA SCUOLA DI TUTTI E DI CIASCUNO

Il testo riprende l’intervento come “perito della difesa” al Processo alla Scuola – tenuto a Biennale Democrazia a Torino il 15 aprile 2011.

 

«Cercherò di portare alcune prove a difesa della scuola di tutti e di ciascuno dai tre ai sedici anni nata con l’istituzione della scuola media unica nel 1962 con l’azione di un parlamento che non consultò   sondaggi di opinione ma si attenne al mandato costituzionale.

Stiamo parlando della scuola che accompagna i bambini e i ragazzi da 3 ai 16 anni, non per farne medici o barbieri, avvocati o operai ma Cittadini sovrani della Repubblica italiana.

 

La prima che propongo serve per provare che i cittadini si formano meglio in una scuola in cui si sta il più possibile insieme piuttosto che in una scuola in cui gli allievi vengono separati in base alla vocazione allo studio

Prendo spunto da una esemplificativa esperienza del Vicepreside dell’IIS Leonardo da Vinci di Firenze dove convivono percorsi per motoristi e percorsi liceali.

È la storia di Luigi, classe sociale da motorista e finito per sbaglio, chissà perché, tra i liceali.

Dopo due mesi le difficoltà diventano insostenibili e si convince a chiedere il passaggio al corso professionale.

Ma appena entrato nella nuova classe si ritrova nel suo Bronx e passerà buona parte del tempo scuola in vicepresidenza cacciato continuamente dalla classe… e risultare respinto. Né il liceo né il professionale erano fatti per Luigi.

Morale: fare scuola in classi variegate è certo più difficile ma corrisponde alla dimensione vera del problema, impone di giocare le carte della qualità del fare scuola e i risultati possono essere superiori.

Dividere i ragazzi in base alla presunta vocazione allo studio e al futuro stato sociale non è solo una scelta ideologica, produce anche un apprendimento meno profondo. È semplicemente confermare, certificare la collocazione in una classe sociale.

Tenere insieme tutti i ragazzi in una scuola unica fino a 14 anni e unitaria fino a 16 non è solo un valore democratico: pedagogicamente permette di raggiungere risultati di apprendimento più elevati.

 

La seconda prova riguarda il vantaggio realizzato da un ambiente cooperativo rispetto a quello competitivo.

I bambini sono persone serie e sanno che a scuola si va per imparare.

Siamo noi che li convinciamo che si va per i voti; ma la competizione resta un motivo di poco valore per meritare l’impegno necessario a imparare in profondità.

La competizione può portare a voti alti ma non ad un apprendimento di alto livello: questo avviene solo quando si dà senso allo studio.

Dove si attua un clima realmente di cooperazione nell’apprendimento imparano di più sia i più bravi sia i ragazzi in difficoltà.

La prova è quella dell’IC Don Milani di Lamezia Terme: la scuola è caratterizzata dall’impegno degli insegnanti e in modo particolarissimo della dirigente scolastica nel mettere al centro le condizioni dell’apprendimento e la soddisfazione derivante dall’esperienza di apprendimento. Prevede anche il coinvolgimento responsabile delle famiglie.

 

La terza prova è riferita al luogo comune secondo il quale le difficoltà vanno dosate in base alla prosecuzione degli studi perché è inutile forzare allo studio chi non ne ha la vocazione.

“Non è adatto allo studio, mandatelo nei campi”. Il babbo pensò: “Se si stesse di casa a Barbiana sarebbe adatto.”[1]

Sostiene, in un incontro a Barbiana, Giancarlo Carotti, allievo di Lorenzo Milani: il priore ci faceva studiare argomenti difficilissimi, a noi che dopo, comunque, saremmo andati nei campi o nelle fabbriche; ma dovevamo andarci da cittadini preparati, indipendentemente dal lavoro che avremmo fatto perché saremmo comunque stati dei cittadini. E noi, con la fatica e il tempo necessari, imparavamo tutto!

“I- Non bocciare. II- A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. III- Agli svogliati basta dargli uno scopo” [2]

 

Ultima prova è la nostra città (Torino). 

Cerchiamo di immaginare come sarebbe Torino se nel 1962 avessero innalzato l’obbligo mantenendo due scuole: la scuola media e l’avviamento professionale.

Avremmo due Torino, una formatasi in quartieri tipo la Crocetta o Cit Turin nella scuola media, e un’altra Torino formatasi alle Vallette o alla Falchera nell’avviamento professionale.

È la scuola di tutti e di ciascuno che ha fatto la Torino in cui siamo diventati orgogliosi di vivere.

Ora il problema si pone per la nuova immigrazione: faremo una scuola per i ragazzi figli degli immigrati?

 

La mia conclusione è che la scuola per tutti e ciascuno sia un fattore indispensabile per formare i cittadini e che il mandato le sia conferito proprio dalla Costituzione. Una scuola da difendere nei suoi principi fondativi.  

Il nostro impegno deve essere quello di cambiarla in una scuola all’altezza di tutti e di ciascuno, vero laboratorio di democrazia»

 

Domenico Chiesa

(1 settembre 2023)

 

NOTE

[1] Lettera a una professoressa pp. 11

[2] Ivi, pp. 80