L'IMPORTANZA DELLE PAROLE/3

ESERCIZI DI PENSIERO (in prestito)/14

L’IMPORTANZA DELLE PAROLE/3

Terza parte del testo di Gianna Di Caro scritto pochi giorni dopo l’11 settembre 2001.

All’attenzione di Domenico Chiesa da parte di Gianna Di Caro, 21 settembre 2001

(...)

Per queste considerazioni che non sono di oggi, ma che sono il frutto di anni di lavoro, d’esperienza e di ricerca professionale da parte del C.I.D.I. sentiamo la necessità di ribadire, proprio in questa drammatica circostanza,

-l’importanza delle parole: lottare contro il terrorismo, cercare e punire i colpevoli non equivale ad allestire flotte, a mobilitare uomini, inviare aerei per aggredire stati e popoli, per scatenare una guerra

-l’importanza del connettere e distinguere: di fronte ad una situazione di guerra annunciata non è sufficiente fermarsi all’evento scatenante, per quanto drammatico e riprovevole esso sia, ma è necessario risalire al contesto politico ed economico, di breve e medio periodo, in cui sono maturati sia l’escalation terroristica, sia la minacciata risposta militare indiscriminata. Si tratta, in definitiva, di connettere un evento ad una situazione complessa dalla quale riceve nuova luce; gli eventi fanno precipitare una situazione, e giocano senza dubbio un ruolo importante, ma sono inesplicabili se non vengono contestualizzati (nella comprensione storica si parla anche di distinguere tra occasioni e cause). Comprendere significa anche distinguere, si è detto, e qui le distinzioni da fare sono molte; tra queste bisogna dire che le scelte religiose dei singoli e dei popoli non vanno identificate con le cause di irriducibili antagonismi, e non solo perché la pluralità di fedi di per sé non è mai stata il primo fattore all’origine di guerre, ma soprattutto perché questa identificazione metterebbe in ombra cause materiali e concrete, come il possesso di un territorio o il controllo di una risorsa strategica quale il petrolio che sembrano avere più peso nei conflitti e nel sistema internazionale delle alleanze.

Entrare nel mondo della conoscenza, in questo caso, significa anche mettere a fuoco questioni che fanno parte del contesto in cui viviamo, quali, ad esempio, la questione palestinese, la politica attuale della destra israeliana, l’accentuarsi del divario tra ricchi e poveri nel mondo, i legami tra apparati militari, apparati politici e sistema economico.

Dare spazio alla ricerca significa vedere quali sono le forme di cui si dispone per evitare la catastrofe della guerra, perché giustificare la guerra non significa estirpare il terrorismo, ma creare le condizioni perché si perpetui, aumentando l’area di coloro che, avendo perso tutto, possono giocarsi anche la vita purché questo significhi colpire il nemico o presunto tale. Riprendere a ragionare contro la minaccia della guerra significa dare alla scuola il suo senso più autentico e più alto, riconoscerla come luogo della ragione e della conoscenza, e, proprio per questo, come luogo dove si impara che esistono anche contrasti e conflitti. Impararlo significa non accettare il ruolo che il gioco ci assegna, come se fossimo parte di una simulazione programmata, ma cercare le risposte che ci portano a risolvere il conflitto, a impedire che degeneri, a mettere in atto quell’esercizio della ragione che preferisce alla domanda “come posso distruggere il mio nemico?” quest’altra “come posso risolvere il problema che ci ha fatto diventare nemici?”

 

Domenico Chiesa 

(27 novembre 2023)

 

(Le due parti iniziali del testo di Gianna Di Caro sono presenti nell’archivio di Esercizi di pensiero)