L’esperienza di Giacomo Matteotti cento anni dopo… ”la necessità di dimostrare che restavano quelli che non si arrendono”

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BREVE CRONACA DEI FATTI

Il 10 giugno 1924, nel pomeriggio, a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, dopo aver lasciato la sua abitazione da solo, Giacomo Matteotti si recava a piedi a Montecitorio. Una Lancia Kappa a sei posti svoltò l’angolo venendogli incontro. I testimoni raccontano che, pur essendosi voltato per cambiare direzione e mettersi in salvo, Matteotti venne preso per un braccio, circondato da cinque uomini e costretto a salire in macchina. Si è conoscenza del fatto che Matteotti tentò di divincolarsi, gridò, ma la sua voce fu coperta dal clacson azionato a ripetizione. L’azione fu così rapida che i testimoni non ebbero il tempo di reagire.

Tra il 12 e il 13 agosto, non lontano da Roma, venne ritrovata la sua giacca insanguinata, strappata e sporca di fango. Il 16 agosto nella macchia boschiva della Quartarella, presso il comune di Riano, venne rinvenuto il cadavere.

Questi sono i fatti che dal 10 giugno cambiano la storia di Matteotti e anche dell’Italia, a quel tempo in mano al governo di Benito Mussolini appena eletto con la sua maggioranza fascista del 60% alle elezioni dell’aprile del 1924. Proprio quelle elezioni furono contestate da Matteotti il 30 maggio 1924  in Parlamento, nel corso della seduta che avrebbe dovuto convalidare la lista degli eletti. Il deputato socialista denunciò in un discorso, definito qualche giorno dopo dal giornale Il Popolo d’Italia “mostruosamente provocatorio”, i brogli e le violenze nei confronti degli elettori e dei candidati perpetrati dalla milizia fascista, sia durante i comizi elettorali, sia durante le votazioni.

 

FONTE STORICA

Il discorso di Matteotti alla Camera dei deputati nella seduta del 30 maggio 1924: trascrizione del discorso integrale.

 

Il 3 gennaio 1925 i lavori parlamentari si aprono con un discorso di Mussolini che rappresenta una svolta per il fascismo. In quel discorso egli si assunse la responsabilità “politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”, in quanto responsabile di aver creato “il clima storico, politico e morale nel quale era maturato il delitto Matteotti.”

 

FONTE STORICA

Il discorso di Benito Mussolini tenuto alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925: trascrizione del discorso integrale.

 

Sono passati cento anni da quei fatti. Al di là delle personali opinioni e interpretazioni storiche su di essi, esiste la verità storica che poggia su una serie di fonti che man mano vengono alla luce e hanno consentito agli storici una ricostruzione di come sono andate le cose. Se sulle ragioni che hanno portato al delitto ci sono posizioni diverse, la biografia di Giacomo Matteotti è chiara e ricostruibile nelle sue fasi e nelle scelte compiute in anni di importanti trasformazioni per l’Italia a livello sociale, politico, economico. 

Essa si sviluppa a cavallo della prima guerra mondiale e una guerra è di per sé stessa motore di cambiamenti.

Non pensiamo e non vogliamo avvalorare facili confronti con l’oggi, con il quadro politico attuale, come a volte si fa, inducendo a pensare a conseguenze comuni e inevitabili. La storia non si ripete mai uguale a sé stessa. Semmai, al di là dei diversi significati che a quel delitto e a quella vicenda umana e politica si può ancora oggi attribuire, occorre considerare, a nostro parere, come quelle vicende si collocano nel contesto storico italiano del primo dopoguerra; in che rapporto stanno con la fase delicata di passaggio a un modello di organizzazione statuale che si presenta come “la radicale negazione di quelli precedenti, ottocenteschi e liberali, fondati sulla separazione dei poteri, il pluralismo politico, la rappresentatività delle istituzioni e su Costituzioni che proteggevano alcuni inalienabili diritti politici.” [1]

Nel 1919 il governo Nitti introdusse il suffragio universale maschile con un sistema elettorale proporzionale. 

Masse di incolti, contadini e operai, poterono partecipare al voto e affacciarsi alla partecipazione politica, rivelando i bisogni di un paese diverso, cambiato dalla guerra. Quella legge portò in Parlamento “uomini nuovi”, che quell’Italia conoscevano e di cui si fecero carico di rappresentare gli interessi. 

Giacomo Matteotti, deputato socialista della corrente riformista, fu uno di loro. Dal Polesine, sua terra di origine, guidò le lotte per la terra di contadini e braccianti negli anni del biennio rosso. Nelle elezioni del novembre del 1919 si vide il cambiamento: il partito socialista ottenne 156 deputati e diventò il secondo partito nel Parlamento italiano. Nell’Europa, uscita dall’esperienza bellica, lo spirito della rivoluzione russa, che avrebbe sovvertito il capitalismo fiaccato dalla guerra stessa, faceva da sprone alla reazione “dal basso” che si diffuse nel Paese con agitazioni sociali e politiche, anche violente, tra il 1919 e il 1920. In Italia questo periodo prese il nome appunto di “biennio rosso”.

La scissione tra socialisti e comunisti del 1921, proprio per l’incapacità imputata al partito socialista di organizzare la rivoluzione, ebbe tuttavia l’effetto non voluto di indebolire entrambe le forze politiche che rappresentavano le masse di contadini e operai. “Socialisti e comunisti si trovarono così a dover fronteggiare in condizioni di impotenza la reazione violenta del neonato fascismo, le cui squadre armate, con l’appoggio attivo dell’esercito e della polizia, della magistratura, degli agrari e degli industriali e il sostegno politico della Chiesa, di settori influenti dei cattolici e dei liberali conservatori spaventati dai “rossi”, nel 1921-1922 misero a ferro e a fuoco il paese distruggendo le organizzazioni socialiste, comuniste e operaie, fino a che nell’ottobre 1922, dalla monarchia complice il potere venne affidato al leader del fascismo Mussolini e alle forze con lui alleatesi. Emerse allora in piena luce il carattere velleitario anche in Italia del progetto di abbattimento del capitalismo.” [2] E di fatto il tentativo di portare in Europa la rivoluzione fallì e in Italia iniziò il fascismo. “La disintegrazione delle strutture dello Stato liberale non coincise con il ripristino delle vecchie forme di potere dell’ancien régime e il totalitarismo si affermò nel ventre della civiltà industriale (altro che distinguere la civiltà dalla barbarie!).” [3]

Questi sono solo cenni al contesto storico complesso di quegli anni e ai problemi di fronte ai quali Giacomo Matteotti compì le proprie scelte e maturò le sue idee. 

A chi volesse oggi accostarsi alla figura di Giacomo Matteotti non deve sfuggire la complessità del momento storico dell’Italia del periodo. La complessità, politica e lo scontro ideologico polarizzato non sono una prerogativa dei nostri tempi. La vicenda di Matteotti va conosciuta innanzitutto perchè è utile a capire il contesto storico in cui è inserita e che rappresenta, per l’Italia, un momento storico cruciale, di grande fermento politico e di cambiamenti sociali i cui esiti, almeno nel 1919, erano “aperti”, vale a dire, lasciavano spazio a soluzioni che potevano essere anche diverse da quelle che poi furono. Una generazione di politici e pensatori in Italia scriveva, agiva, aveva idee che poi non si sono potute esprimere perché, tra le diverse soluzioni possibili, la soluzione “fascista” ha prevalso sulle altre, cancellandole nella violenza e rigettandole nel silenzio pubblico.

Il centenario che oggi si celebra può andare oltre le forme della commemorazione, per essere ricondotto alla ricerca delle parole di Matteotti contenute nei suoi scritti, iniziando dai suoi discorsi parlamentari, in cui le sue idee sono espresse e definiscono il suo agire politico. Esprimono la sua “reazione” al fascismo e al capitalismo.

Che cosa dunque rimane oggi della sua figura? Qual è stato il suo contributo nel cammino di costruzione della democrazia in Italia?

Le sue idee e le scelte che hanno guidato il suo agire politico, fortemente collocate nel suo tempo, possono ancora dire qualcosa a noi.

Cosa è più opportuno, cosa è dovere per un cittadino fare quando le regole istituzionali che reggono la democrazia e quelle civiche che definiscono i rapporti interni alla società sono minacciate dal sopruso, dalla violenza, dalla logica del privilegio dei pochi?

Giacomo Matteotti, lo descrivono così i contemporanei, è stato un uomo che non si è mai risparmiato, “verticale”: non si è piegato ai compromessi e alla rassegnazione, pur nelle difficoltà continue che dovette affrontare, in quanto molto presto sorvegliato dalle squadre fasciste. Praticò la virtù gobettiana dell’intransigenza [4]. Scelse la partecipazione e l’impegno come strumenti necessari per cambiare la società. Fu l’uomo del coraggio. 

Se si ripercorre la sua biografia, la vicenda di Matteotti, fino al tragico finale aiuta a comprendere come egli seppe utilizzare gli strumenti che la libera partecipazione politica, sempre più minacciata e poi soppressa dal fascismo, gli consentivano per opporre la verità alla menzogna, la parola alla violenza.

Come scrive Piero Gobetti, anch’egli vittima delle violenze fasciste, che a Matteotti dedicò due ritratti, “non si poteva collaborare col fascismo per una pregiudiziale di repugnanza morale, per la necessità di dimostrare che restavano quelli che non si arrendono.”[5]

Ecco allora, per concludere, che la storia di Matteotti aiuta a uscire dall’equivoco, diffuso nel pensiero corrente di chi non lo riconosce: l’antifascismo non coincide solo con l’esperienza storica della Resistenza e non è  da ricondurre, come è stato fatto dalle generazioni più recenti appartenenti alla destra di governo, allo scontro tra terrorismo di destra e di sinistra degli anni Settanta del Novecento. L’antifascismo è iniziato molto prima di quei fatti.

Ricordare Giacomo Matteotti non è solo un atto della memoria. Significa sottrarre l’antifascismo alle istanze superficiali che lo riducono all’ambito della sola lotta armata. Significa riportarlo nell’alveo delle idee, del conflitto delle idee, uno degli elementi salienti, costitutivi della democrazia.

 

PORTARE GIACOMO MATTEOTTI A SCUOLA

Per gli insegnanti che vogliano approfondire lo studio di Giacomo Matteotti e portarlo a scuola, vengono messi a disposizione alcuni strumenti per iniziare la loro progettazione e una bibliografia, non esaustiva, che apre ad altre opere dedicate alla sua figura, anche in anni meno recenti.

Nel prossimo anno scolastico il Gruppo di storia del CIDI Torino intende organizzare incontri di studio su Giacomo Matteotti finalizzati alla realizzazione di laboratori di storia nelle scuole.

Chi fosse interessato ad avere ulteriori informazioni può scrivere alla email: unastoriabeninsegnata@gmail.com

 

FONTI STORICHE

 

BIBLIOGRAFIA

- CANALI MAURO, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 2024 (nuova edizione).

- FIORE FABIO, L’affaire Matteotti. Storia di un delitto, Editori Laterza, Bari, 2024.

- FORNARO FEDERICO, Giacomo Matteotti. L’Italia migliore, Bollati Boringhieri editore, Torino, 2024.

- FRANZINELLI MIMMO, Matteotti e Mussolini. Vite parallele. Dal socialismo al delitto politico, Mondadori, Milano, 2024.

- FRANZOSO ANDREA, Lo chiamavano Tempesta. Storia di Giacomo Matteotti che sfidò il fascismo, De Agostini, Milano, 2024.

- POLITO PIETRO (a cura di), Giacomo Matteotti. Questo è il fascismo, Edizioni e/o, Roma, 2022.

- ROMANATO GIANPAOLO, Giacomo Matteotti. Un italiano diverso, Bompiani, Milano, 2024

- SALVADORI MASSIMO, L’antifascista. Giacomo Matteotti, l’uomo del coraggio, cent’anni dopo (1924-1024), Donzelli editore, Roma, 2023.

 

A cura di Caterina Amadio, Grazia Dalla Valle, Carmela Fortugno

(10 giugno 2024)

 

NOTE AL TESTO

[1] DE LUNA G., Che cosa resta del Novecento, De Agostini libri, Milano, 2023, p. 48.

[2] SALVADORI M., L’antifascista. Giacomo Matteotti, l’uomo del coraggio, cent’anni dopo (1924-2024), Donzelli editore, Roma, 2023, pp. 6-7.

[3] DE LUNA G., Che cosa resta del Novecento, De Agostini libri, Milano, 2023, p. 49.

[4] Dal testo Elogio della ghigliottina di Piero Gobetti, contenuto nella rivista La Rivoluzione liberale (1922): “Bisogna diffidare delle conversioni, e credere più alla storia che al progresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la sua necessità in sé, non nel suo divulgarsi. C’è un solo valore incrollabile al mondo: l’intransigenza e noi ne saremmo per un certo verso i disperati sacerdoti.” (da La rivoluzione italiana (1918-1925). Piero Gobetti, a cura di Pietro Polito, Edizioni dell’Asino, 2013, p. 127).

[5] GOBETTI P., Matteotti (1924), Nuova ed. Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2014, p. 32.