Perché abbiamo scelto di tornare a parlare di curricolo di storia?

Sintesi dell’intervento tenuto da Caterina Amadio nel primo incontro del corso di formazione UNA STORIA BEN INSEGNATA organizzato dal CIDI Torino nell’anno scolastico 2021/2022.

 

Dopo la stagione positiva degli anni ‘70 e ‘80 con la nascita e la diffusione del tempo pieno nella scuola elementare, l’entrata in vigore dei Nuovi programmi della scuola media nel ’79 e della scuola primaria nell’85, la revisione del sistema didattico pubblico attuata dal Progetto Brocca tra gli anni ’80 e ‘90, ci siamo rese conto che quella carica innovativa nella scuola si è come affievolita, ripiegata.

Negli ultimi anni qualsiasi idea di curricolo, di storia in particolare, è diventata estranea al fare scuola quotidiano degli insegnanti. Il curricolo è diventato uno spazio in cui, nel minor tempo possibile, senza tante energie intellettuali coinvolte, si scrive un testo, viene messo sul sito istituzionale della scuola e poi non c’è più traccia nel lavoro. Spesso anche chi riflette e costruisce questo curricolo fa fatica a tenere insieme quello che ha scritto con quello che fa a scuola. Se uno strumento non serve a migliorare il fare scuola, se non dà la necessaria tranquillità quando si va in classe, allora è inutile ed è solo il segno della burocratizzazione estrema che caratterizza la nostra scuola oggi.

Lo svuotamento di significato del curricolo è poi stato accompagnato, negli ultimi anni, dalla riduzione dell’orario di insegnamento della storia da tre a due ore nelle scuole medie e da due ore a un’ora negli istituti professionali, e dalla tendenza a secondarizzare anche la scuola primaria con un orario disciplinare definito.Un ulteriore segnale della perdita di ruolo della storia nel curricolo scolastico è poi stato, nell’ a.s. 2018/2019, l’avere escluso dalla prova di maturità il tema di storia.

Altri cambiamenti sono stati determinati dalla revisione dei programmi nei primi anni Duemila, con lo “scavalco” dalla storia antica alla storia medievale che si attua tra scuola primaria e scuola secondaria di primo grado. Questa scelta di carattere culturale ha cambiato il modello di proposta didattica precedente, fondato sulla “ricorsività”. Inoltre è venuto meno, in questo modo, un principio dell’apprendimento secondo il quale, per imparare, i ragazzi hanno bisogno di formarsi un telaio nozionale che consenta loro di agganciare le informazioni successive allo stesso argomento. Venendo meno la costruzione del telaio nozionale nella scuola primaria, la scuola secondaria si è trovata spiazzata, senza però avere grande consapevolezza del cambiamento avvenuto. Si trattava di un problema culturale e di teoria dell’apprendimento[1]!

Questa proposta apre anche il fianco al problema degli stereotipi: come afferma Gardner[2] se è vero che le idee che si formano i bambini fino ai cinque anni, che sono i copioni e gli stereotipi, sono così forti da condizionare tutto l’apprendimento successivo, questo vuol dire che le idee che un ragazzo sente dire in famiglia, da piccolo, costituiscono idee così forti, che poi, sono superate solo se c’è una consapevolezza da parte dell’insegnante, nello svelare questo fraintendimento, questo copione. Se questo non avviene, tutte le informazioni che noi diamo non servono a niente, perché dopo un po’ di tempo il ragazzo riprenderà quell’idea che c’era prima. Solo se uno studente diventa esperto potrà modificarla perché diventerà consapevole[3].

Un altro aspetto da prendere in considerazione è l’uso pubblico della storia[4] che sta travolgendo anche le nostre certezze e quelle dei nostri ragazzi. Dobbiamo fare i conti con questo, esserne consapevoli e poi riusciremo ad affrontarlo[5].

Le “Giornate della memoria”, sui temi del Novecento, sembrano essere diventate lo strumento per promuovere la memoria. I pericoli insiti nella presentazione di un fatto che per ovvie ragioni nella scuola primaria e fino al terzo anno della scuola secondaria di primo grado non è contestualizzato storicamente, rinforza gli stereotipi e difficilmente costruisce conoscenza. Questo è qualcosa su cui dobbiamo ragionare ed è un problema che per la scuola primaria è diventato enorme: la scuola affronta la Shoah e altri temi sensibili che “stanno per aria”. Questo pericolo si supera se i temi vengono affrontati nel tempo e nello spazio in cui avvengono e all’interno di un contesto di conoscenze.

Infine se alla storia si chiede di realizzare la coesistenza, la convivenza interculturale, il vivere insieme, a questo punto non resta che chiederci quale spazio può avere la storia in un mondo globalizzato. Mai come in questi anni, l’appiattimento del mondo globalizzato sul presente è solo apparente: in un contesto segnato da una forte conflittualità socio-economica e culturale, si contrappongono e si scontrano simultaneamente immagini e discorsi ricchi di richiami al passato, che spingono all’azione e legittimano a guerre di varia natura.

Ci piace concludere questa riflessione sull’insegnamento della storia oggi con le parole ricordate da Serge Gruzinski:

“Noi viviamo in un presente pressoché illimitato che assorbe una gran parte del passato e del futuro, respingendo ciò che non può incorporare.” (cit. Alain Touraine) Ci si rende conto che il presente ci sfugge di mano senza mai lasciarsi catturare. “Purtroppo, però” osservava Hannah Arendt, “forse non siamo né equipaggiati, né pronti per questa attività del pensare, dello stabilirci nella lacuna tra passato e futuro.” Il presente non ha mai contorni precisi: si alimenta di una pluralità di stimoli, sensazioni, immagini, premonizioni, voci e “ultime notizie” di cui la nostra memoria non trattiene che brandelli. […] Tuttavia, è dal presente, e dunque dal mondo contemporaneo, che dobbiamo partire per risalire il corso del tempo.”[6]

Che fare, ci siamo chieste, alla luce di questo? Ci siamo dette che forse si deve ripartire da lì, dai problemi, e ripensare il curricolo di storia.

 

[1] Si vedano gli studi di Calvani e Ausubel.

[2] GARDNER 2011, pp. 177-191.

[3] Ad esempio l’idea che sempre più ragazzi hanno in Italia che la Shoah non sia mai esistita, cit. Prosperi A., Un tempo senza storia, p. 12: “Secondo i dati del sondaggio di Eurispes Italia, oggi il 15,6 per cento della popolazione italiana crede che la Shoah non sia mai esistita. Nel 2004, era il 2,7 per cento. Che cosa è accaduto e che cosa non ha funzionato nella trasmissione delle conoscenze? Si è trattato di una deficienza del sistema scolastico?”.

[4] RICUPERATI 2005, pp. 24-27 (Uso pubblico della storia e insegnamento) e pp. 35-41 (Per un altro concetto di pubblico).

[5]La memoria pubblica è un patto in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Su questi eventi si costruisce l’albero genealogico di una nazione. Sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le priorità da proporre nella grande arena dell’uso pubblico della storia, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel patto cambiano a seconda delle varie fasi che scandiscono il processo storico di una nazione.” (DE LUNA 2011)

[6] GRUZINSKI 2016, pp. 11-12.